10 gennaio 2012
Con i loro centomila arrivi dagli anni Ottanta ad oggi hanno mutato per sempre il volto dell' infanzia italiana. Ragazzini venuti da lontano, spesso con la pelle diversa dai nuovi genitori, portatori di un cambiamento multiculturalee fertile, testimonianze di un altrove qui diventato famiglia.
Tremila, quattromila adozioni l' anno, numeri record, secondi nel mondo soltanto agli Stati Uniti: per quasi tre decenni in Italia le famiglie adottive sono cresciute senza sosta, aprendosi di volta in volta a situazioni e paesi nuovi, dall' Europa al Sudamerica, dall' Asia all' Africa, dai bambini più piccoli a quelli più grandi. Storie di ieri.
Perché oggi le coppie italiane si stanno allontanando dall' adozione: dal 2004 al 2010 le domande presentate ai tribunali per i minori sono calate del 32,6% per l' adozione internazionale e di oltre il 37% dal 2006 al 2010 per l' adozione nazionale. Una discesa a picco, i cui effetti si vedranno nei prossimi anni e le cui cause sono ancora tutte da capire, ma che di certo si salda all' attuale deserto demografico del nostro paese, andando ad ingigantire il fenomeno delle culle vuote.
Più che disamore sembra stanchezza.
NELLA strada verso l' adozione tutto è diventato troppo difficile, troppo costoso, troppo lento, mentre i tribunali scoraggiano le coppieei paesi stranieri chiudono le frontiere. Eppure le cifre dell' infanzia abbandonata nel mondo sono ormai spaventose, erano 145 milioni nel 2004 i bambini in stato di "grave indigenza", secondo le stime dell' Unicef, sono saliti a 163 milioni nel 2009. A lanciare l' allarme nei mesi scorsi era stato un ente storico, l' Aibi, l' Associazione amici dei bambini, segnalando per la prima volta questa silenziosa inversione di tendenza, quasi l' inizio di un tramonto. «La crisi economica e una cultura negativa nei confronti dell' adozione - spiega Marco Griffini, presidente di Aibi - porta gli aspiranti genitori a non tentare nemmeno più questo percorso, che è stato invece una risorsa formidabile per la demografia italiana, e per quelle migliaia di bambini il cui unico futuro sarebbe stato la povertà, l' abbandono e l' abuso. Un vero ponte d' amore. A torto si dice che le coppie hanno paura di bambini troppo grandi: non è così, almenoa quanto vediamo nel nostro ente, i 6, 7 anni non spaventano chi è davvero motivato. E nemmeno quei problemi di salute, gravi in un paese povero, ma assolutamente risolvibili qui, da cui possono essere affetti questi piccoli che arrivano dalla miseria e dagli orfanotrofi». Ciò che scoraggia, questo il pensiero di molti enti, sono i costi, ogni anno più elevati, ma soprattutto la totale incertezza da parte dei paesi stranieri, «verso cui l' Italia non ha fatto negli ultimi anni nessuna politica di cooperazione». I costi sono infatti uno dei capitoli più controversi: adottare un bambino all' estero può costare oggi dai 10 fino a 30mila euro, tra ciò che è dovuto agli enti, il viaggio, la permanenza. E poi il ruolo dei tribunali e dei servizi sociali, che oggi sono diventati «fortemente ostativi», ricorda Griffini, verso chi vuole adottare. In effetti basta guardare i numeri dei decreti di idoneità. Ossia quei certificati che devono essere rilasciati dai giudici minorili e che sanciscono, dopo un lungo percorso di incontri e test psicologici, che quella coppia è "idonea" ad adottare un bambino, sia sul territorio nazionale che all' estero. E senza i quali nulla è possibile. Calo del 26% in Veneto, dimezzati in Emilia Romagna, dove i decreti sono passati dagli oltre 400 del 2007 ai 229 del 2010, mentre in Toscana si è avuto un crollo del 13% delle domande di adozione. E si tratta di regioni all' avanguardia per il welfare e i servizi di supporto alla famiglia e storicamente, insieme al Lazio e alla Lombardia, ai primi posti come numero di bambini accolti. «È vero - ammette Melita Cavallo, presidente del Tribunale peri minori di Roma, ed ex presidente della Commissione adozioni internazionali - oggi la tendenza è quella di limitare nei decreti l' età dei bambini, e di essere ancora più attenti nel valutare i genitori. E questo di certo limita le possibilità visto che dall' adozione internazionale arrivano ragazzini sempre più grandi. Ma la nostra severità è data dal fatto che le "restituzioni" di figli adottivi stanno diventando di anno in anno più numerose, proprio perché i bambini arrivano a 8, 9 anche 10 anni, quasi sempre con situazioni gravi alle spalle e i genitori non reggono e li rifiutano... Cioè li riportanoa noi, che non possiamo fare altro che metterli in un istituto, nella speranza di trovare loro un' altra famiglia adottiva. E non sempre accade». La pagina delle "restituzioni", ossia dei fallimenti, è l' altra faccia del boom delle adozioni, il lato buio di una storia d' amore, un capitolo quasi sempre censurato. «Da quando dirigo il Tribunale per i minori Roma - aggiunge Cavallo - cioè da due anni e mezzo, ho avuto 10 restituzioni, tra le ultime una bambina indiana di 8 anni e un ragazzino vietnamita quasi adolescente. Troppe. Sintomo di un malessere che non si può ignorare». Un fenomeno nuovo, perché sul numero complessivo delle adozioni in Italia, quelle fallite non superano storicamente l' 1,7% del totale, e hanno riguardato nel tempo soprattutto l' adozione nazionale. «Non sottovalutiamo però una globale paura del futuro - avverte Milena Santerini, ordinario di Pedagogia all' università Cattolica di Milano, con una lunga esperienza nelle adozioni internazionali - che così come scoraggia i genitori biologici, deprime gli aspiranti genitori adottivi. È l' onda del calo demografico, della cultura della sfiducia. Spesso nelle coppie la scelta adottiva arriva tardi, oltre i 40 anni, dopo molti tentativi falliti di maternità naturale e assistita. Partendo da questa età i tempi oggi sempre più lunghi dell' attesa possono apparire insostenibili...». E poi c' è il tema controverso della chiusura dei paesi. Alcuni stanno sviluppando un' adozione interna, ma è un fenomeno circoscritto. «Altri invece chiudono per orgoglio nazionale - aggiunge Milena Santerini - per calcolo politico, per alzare il prezzo verso i paesi occidentali, nascondendo il vero stato della loro infanzia...». E allora? Siamo di fronte al tramonto dell' adozione internazionale? E quella nazionale? Ogni anno circa 1.500 bambini abbandonati in Italia trovano una famiglia. Un numero in realtà piccolissimo sia rispetto alle domande che alla situazione effettiva degli istituti. «Si potrebbe fare molto di più - rilancia il giudice Melita Cavallo - sia rivedendoi criteri che ancora privilegiano troppo il legame di sangue con le famiglie di origine, sia incentivando un tipo di adozione "aperta", laddove non è possibile procedere subito a quella legittimante». Un tema strettamente connesso all' affido familiare, che in Italia stenta a decollare, oppure si trasforma in una adozione "di fatto", con bambini e ragazzi "collocati" per anni e anni presso famiglie senza che però la loro situazione venga mai definita. O peggio, ciò che a volte accade nella cecità della legge, è che questi ragazzi ormai figli di chi li ha cresciuti senza avere peròi requisiti per l' adozione, vengano spostati d' ufficio in altre famiglie con le "carte in regola". Però non tutto è chiaro. E di certo non sono i numeri ancora piccoli delle adozioni nazionali nei paesi "poveri", a spiegare perché questo meccanismo di reciprocità affettiva si sia spezzato. Né lo spostamento della ricerca di un figlio sulla fecondazione assistita, visto che circa il 90% delle coppie arriva all' adozione dopo più tentativi falliti. Gianfranco Arnoletti, presidente del Cifa, altro ente storico, si ricollega al concetto della sfiducia. «Nel 2011 con il nostro ente sono entrati in Italia 300 bambini e dopo un' attesa di circa 2 anni. Ci sono paesi come la Cina che ci chiedono di inviare coppie... Non è solo un problema di attese e di costi: le domande di adozione calano perché oggi diventare genitori fa paura, è il futuro che fa paura».
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