giovedì 13 settembre 2012

Quella volta che mia figlia decise di rinascere


Ero sul divano, accomodata in un ampio vestito e seduta su una giornata piena di eventi di apparente banale quotidianità e di gesti semplici, ma mai vissuti prima. 
Era stata una giornata di maternità, una delle tante fatte di parchetto, panchina, merenda, palla, biciclettina, altalena, avrò messo tutto nella borsa mah, pensieri da allineare e organizzare nuovi nuovi, per me appartenenti ad una fetta di mondo altrui, sempre osservata, a volte sbadatamente, a volte con curiosità, spesso con estraneità. Ero ora lì dentro anch'io, appartenevo a quella categorie di persone, di donne, di mamme, di nonne e nonni che abitavano i parchetti della città, anche io facevo parte di quel gruppo, anche io ero lì, spingevo mia figlia sull'altalena, sul columpio, si, mia figlia così lo chiamava, nella sua terra di nascita. 
E sul columpio ora ero seduta anch'io, e questo essere alzata da terra e questo dondolare mi accomunava a lei, un mondo nuovo sotto ai nostri piedi, un leggero senso di estraneità a volte di celata paura, un andare in alto, un tornare giù, e ancora, felice e a volte triste, ce la faccio, ma come è difficile, era quello che volevo, che ci faccio qui, e ancora su, e ancora giù... 
Un columpio in movimento continuo. Un'altalena, una nuova vita che sale, di colpo e che ti porta giù, a sentire le tue difficoltà di nuova mamma e di adulta che si riscopre velocemente nei dubbi di colei che cresce un figlio già nato, un figlio che dalla sua altalena ti vuole e ti respinge, anche lui sale in alto e scende giù, che ti ama e che ti odia, una donna in un parchetto, una mamma.

I saliscendi, le altalene, il brivido dell'alto e del basso, il movimento continuo serve, è funzionale, accettarlo come strumento di formazione fa bene, nello strenuante ricercare una posizione equilibrata, una posizione nuova in cui puoi stare bene e puoi far sta bene. È un passaggio, è una posizione transitoria che va accettata e accolta, stringendo bene le mani alle uniche cose certe conosciute: le corde dell'altalena. Stringere bene il nostro essere adulti, accoglienti, comprensivi, adulti che ci accettiamo per quello che siamo, con i nostri limiti e le nostre paure, antiche e nuove. Conoscerle e conoscersi il più possibile, questo è fondamentale. Stringere bene tutto questo perché sull'altra altalena, che ondeggia a fianco, c'è l'altra persona, tuo figlio, in pieno movimento e alla ricerca del suo equilibrio per essere figlio, nuovo, in fase di ricerca di se, dei suoi pezzi, della sua rinascita.
Ed è stato in una di quelle sere, al rientro dal parchetto e dai nostri columpi, che successe, che il tempo si fermò, l'ondeggiare anche, l'andare in alto e in basso pure, per concederci un momento tutto nuovo, comune. Un andare e un fermarsi all'unisono.
Qui, sul divano, in una sera in cui tutto pareva uguale alle altre, mia figlia decise di nascere. Di rinascere da me.
Quella sera il mio abito era largo, di un tessuto comodo e morbido, tinte pastello. Lei si avvicinò a me, io la abbracciai e le sorrisi, e in un momento trovò il modo, il suo, per fermare una storia e ripartire da un'altra, ecco, si infilò sotto il mio vestito, la pancia improvvisamente mi si gonfiò, ero incinta di lei, sentivo il suo peso, le sue manine, la sua pelle sulla mia.  Lei stava per nascere. Lo voleva, lo pretendeva. Il papà la prese dolcemente per i piedini che già facevano capolino in basso, io mi accarezzavo il grembo, le sentivo la testa, sentivo già i suoi primi vagiti, ecco, gli ultimi movimenti di assestamento e nostre figlia nacque. 
E divenni per la prima volta mamma, lei per la seconda volta nacque, ora mia figlia. 

Adozione, impossibile non amarla. 

Una mamma felice.
@icri4.

Adozioni, al centro i diritti dei bambini - La Stampa.it

13/9/2012







Gentile Direttore, vorrei esprimere la mia opinione in merito all’adozione da parte delle coppie omosessuali, cui La Stampa ha dedicato vari articoli. Mi chiamo Federico Milazzo, sono un figlio adottivo, ormai adulto, sposato con tre figli e un lavoro soddisfacente. Sono stato adottato all’età di sei anni da una coppia che aveva già due figli biologici, «fatti in casa», con cui ho subito legato. Non sono mancati per i miei genitori momenti difficili: ero un bambino che si è portato dietro per anni le conseguenze dell’abbandono, che ho tanto patito prima di arrivare in quella che è diventata la mia vera famiglia: loro hanno saputo come prendermi, alternando fermezza e coccole sono riusciti a farmi diventare quello che sono. Perché ho voluto raccontarvi questo? Perché credo che il tema dell’adozione possa essere affrontato da due punti di vista opposti: partendo da quello degli adulti o da quello dei bambini senza famiglia, come ero io.


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