sabato 11 maggio 2013

AiBi pubblica la lettera del Presidente dei Minori di Torino, Fulvio Villa


Fonte: www.aibi.it


Adozioni di bambini grandi: sì o no? All’Ufficio Adozioni di Torino l’aggettivo “incollocabile” non esiste

villa
I risultati del sondaggio, lanciato sul sito Ai.Bi., sono piuttosto chiari. Il 94% dei votanti si è espresso a favore dell’adozione di tutti i bambini, anche i più grandi, perché “tutti hanno diritto alle stesse opportunità”. Solo il 6% esprime perplessità, invece, rispetto alle adozioni di minori che abbiano compiuto 8, 9, 10 anni.

Il sondaggio era stato lanciato, il 30 aprile, mettendo a confronto le posizioni e le dichiarazioni diverse di due presidenti di Tribunale dei Minorenni: Fulvio Villa di Torino e Melita Cavallo di Roma. In dieci giorni, oltre al voto, sono arrivati tantissimi commenti.
Alcuni erano il racconto di una storia personale, come quello di Elena: “Mio figlio è un bimbo di 8 anni e sta con noi da 5 mesi. Ogni giorno dimostra che ha bisogno di coccole e la voglia di farle e riceverle. Impedire ai bimbi grandi di essere accolti in una famiglia sarebbe un grandissimo fallimento per tutti”. Altri erano dichiarazioni di principio: “Possibile che non ci siano altri mezzi di scongiurare i fallimenti adottivi se non quello di negare le adozioni a priori?”. Altre di rabbia: “Chi si occupa di minori non può avere delle gran fette di prosciutto sugli occhi!”. Altre ancora evocavano un cambiamento radicale del sistema delle adozioni: “C’è bisogno di una nuova legge”, protesta Loredana. “Quella che c’è costringe i bambini a crescere negli istituti!
Proprio in relazione al nostro sondaggio, il presidente del Tribunale Minorile di Torino, Fulvio Villa ci ha mandato una lettera, che volentieri pubblichiamo. Per il suo contenuto complessivo, per gli importanti chiarimenti e distinguo, e per una frase che ci ha particolarmente colpito e commosso:
“All’ufficio adozioni di Torino l’aggettivo ‘incollocabile’, riferito a un bambino in stato di abbandono, non può essere pronunciato da nessuno”.
In relazione al sondaggio proposto sui Vostri rispettivi siti di News, che trae spunto da una presunta diversa impostazione data dal Tribunale Minorile torinese e da quello romano in relazione alla adozione di bambini grandicelli,mi pare doveroso fare alcune precisazioni finalizzate a meglio comprendere l’indirizzo consolidato dell’ufficio adozioni del Tribunale di Torino e a dirimere ogni equivoco con riferimento alla adombrata ma probabilmente non effettiva divergenza di impostazione tra i due tribunali.
Presiedo il Tribunale per Minorenni di Torino (che territorialmente si occupa di minori del Piemonte e della Valle d’Aosta) da quasi sei anni e sin dall’inizio ho sempre ritenuto, alla luce della mia prolungata esperienza in materia minorile, che ogni bambino in stato di abbandono, privo di riferimenti genitoriali (e spesso di riferimenti in genere, esclusi gli operatori della comunità in cui vive), debba avere diritto ad una possibilità, anche se, non per colpa sua, è ormai grandicello.
E’ noto che in passato i bambini che avevano più di otto anni non venivano neppure dichiarati adottabili; effettivamente è difficilissimo trovare una risorsa familiare idonea ad accogliere quale figlio un bambino che ha alle spalle esperienze spesso forti, devastanti e per motivi anagrafici ormai radicate nei loro aspetti negativi. E d’altro lato gli esperti affermano che di fronte a danni psicologici ormai radicati sia difficilissimo sperare in un recupero e che eventuali probabili fallimenti costituirebbero un ulteriore gravissimo danno psicologico al minore, che in tal modo si sentirebbe per l’ennesima volta rifiutato, inadeguato, perdente.
Queste osservazioni sono giuste e sono anche applicabili ai bambini in tenera età, portatori di gravi handicap ed in stato di abbandono. E’ noto che le numerosissime disponibilità alla adozione fanno quasi tutte (salvo poche eccezioni) riferimento a bambini in età prescolare e sani (o con problemi sanitari risolvibili).
Queste disponibilità limitate le capisco benissimo ed apprezzo che, nell’avvicinarsi a un percorso di genitorialità adottiva, gli interessati siano consapevoli dei loro limiti e delle loro capacità. Questo è fin troppo ovvio.
Però questi bambini italiani troppo grandi o portatori di grave handicap esistono ed hanno bisogno di qualcuno che li tuteli, che combatta per loro, che creda in loro, che non molli la presa e che insista fino a quando è possibile trovare loro i giusti genitori adottivi.
Quale giudice minorile ho sempre sentito in me questo dovere prima di tutto morale e all’ufficio adozioni di Torino l’aggettivo “incollocabile”, riferito ad un bambino in stato di abbandono non può essere pronunciato da nessuno. Non bisogna mollare la presa e bisogna continuare a cercare fino a quando si trova la risorsa giusta.
Apro una parentesi:
Prima di diventare presidente del TM ho fatto parte di un gruppo di giudici minorili, il gruppo “cerco famiglia”sorto nell’ambito della associazione dei magistrati minorili.
Lo scopo del gruppo era quello di trovare famiglie per gli “incollocabili” piccolini e portatori di gravi (spesso gravissimi) handicap. I casi “disperati” ci venivano segnalati dai tribunali o dai servizi territoriali e noi cercavamo di sensibilizzare nelle sedi opportune l’opinione pubblica con lo scopo di trovare genitori adottivi all’altezza della situazione
Senza entrare nel dettaglio, posso affermare che alla fine dell’esperienza durata circa cinque anni abbiamo sistemato circa cinquanta bambini aventi le caratteristiche sanitarie suddette, provenienti da tutta Italia e “sistemati” in famiglie di tutta Italia.
Posso affermare che continuo ad avere notizie di questi bambini e che non vi è stata neppure una restituzione. Mi colpisce molto ogni volta quando i genitori mi ringraziano per aver contribuito ad arricchire la loro vita, anche se il loro bambino è su una sedia a rotelle (ma con un meraviglioso sorriso).
Ma v’è di più.
Questi bambini stanno molto bene (compatibilmente con i loro problemi fisici), sono amati, accolti senza riserve. Alcuni erano all’inizio dei “vegetali”, bambini che non rispondevano agli stimoli e che parevano assolutamente irrecuperabili.Gli stimoli e l’amore dei genitori hanno fatto veri e propri miracoli; adesso quando me li portano in visita vi assicuro che non credo ai miei occhi nel vederli che camminano, che parlano e capiscono, che sono felici. E rimango veramente commosso nel vedere la gioia dei genitori adottivi.
Sono soddisfazioni che umanamente (prima che professionalmente) hanno un valore immenso. Per questo motivo per me e per i miei collaboratori dell’ufficio adozioni (quattro giudici togati, dieci onorari, tre assistenti sociali) la parola “incollocabile” non è pronunciabile.
Tornando a parlare di bambini grandicelli, da alcuni anni il nostro Procuratore della Repubblica Minorile ha iniziato a chiedere l’apertura dei processi di adottabilità anche per bambini grandi, anche fino ai tredici anni.
Vi è piena collaborazione tra i nostri due uffici e il pensiero è comune e condiviso. Certamente è molto difficile trovare la risorsa giusta per questi bambini. Talvolta la ricerca dura anche sei mesi, un anno. Ma non molliamo.
Attualmente abbiamo circa dieci bambini dai dieci ai dodici anni in attesa e neppure una famiglia disponibile. 
L’ANFA ci ha aiutato moltissimo nel concreto, attivandosi e riuscendo in passato a trovare valide risorse su casi veramente difficili.
Mi auguro che anche altre associazioni di famiglie adottive collaborino in questo senso, trattandosi di un problema che riguarda tutti, non soltanto il tribunale.
Riflettete: ci sono bambini grandicelli che tramite gli educatori mi fanno sapere che continuano ad aspettare i nuovi genitori!
Mettetevi in gioco, famiglie adottive! Le discussioni teoriche sono importanti, ma nel concreto ci sono bambini italiani che aspettano nuovi genitori!
La situazione è molto delicata perché le osservazioni degli specialisti sulla radicazione del danno psicoevolutivo e sull’alto rischio di fallimenti è vera. Ciò però non deve scoraggiare, nel timore di sbagliare e di fallire, essendo invece importante, nella consapevolezza dei rischi, adottare tutte le cautele necessarie.
Prima fra tutte è la presenza di una adeguata equipe di territorio che garantisca sostegni prolungati alla coppia ed al minore. Il momento della selezione costituisce poi un’operazione laboriosa e difficile. Per ogni bambino talvolta vediamo e approfondiamo anche venti coppie, oltre che conoscere il minore e rimanere schiavi del suo sguardo… La conoscenza diretta del bambino da parte del giudice ha due vantaggi: in primo luogo averlo visto con tutte le sue speranze e le sue sofferenze non ti consente più di “mollarlo” e dì occuparti di diversi casi. Non puoi dimenticarti di lui. In secondo luogo la sua conoscenza diretta, la consapevolezza delle sue abitudini nel quotidiano, il coinvolgimento degli educatori della comunità sono tutti elementi che permettono di arrivare ad un abbinamento avendo molti elementi di giudizio, che non sono soltanto le “carte processuali”.
Orbene posso affermare che negli ultimi anni abbiamo trovato famiglie ed un rilevante numero di bambini grandicelli.
Quale presidente dell’ufficio adozioni che segue personalmente tutti i casi posso affermare che non vi è stata neppure una restituzione. Vi sono stati momenti di difficoltà, anche grave. La coppia però avendo avuto un contatto diretto con il giudice è in grado di chiedere aiuto, di segnalare direttamente le difficoltà, con la conseguenza che immediatamente si convocano gli operatori che seguono il caso, con i genitori adottivi (che è doveroso coinvolgere direttamente). Indubbiamente i genitori non devono mai essere lasciati da soli; per questo è fondamentale che l’equipe adozioni del territorio sia coinvolta e creda in quel determinato abbinamento.
L’abbinamento avviene con gradualità e cautela: deve nascere una simpatia reciproca che spesso richiede tempi lunghi. Altre volte dopo il primo incontro il bambino prepara la valigia e mi fa sapere che è pronto. Bisogna allora cercare di calmarlo, di farlo riflettere, di usare gradualità.
Ogni errore di sottovalutazione può creare danni gravi al bambino. Ormai siamo abbastanza abituati ed esperti e cerchiamo di non sbagliare. Certamente non bisogna vivere con la paura di fare danni. Dobbiamo mettere in conto questo rischio che, come detto, per fortuna fino ad oggi non si è verificato. 
Breve cenno ai piccolini con gravissimo handicap: tutti in famiglia adottiva, ad eccezione di due che sono ancora in famiglia affidataria per i quali stiamo cercando gli adottivi (sono in corso colloqui anche con coppie che ci cercano da diverse regioni). Questa è la situazione dei bambini italiani in stato di abbandono che si trovano in Piemonte ed in Valle d’Aosta.
Diversa la situazione per i bambini grandicelli che provengono da diversi Stati (adozione internazionale).
La gradualità, il lavoro di approfondimento preventivo, i confronti tra giudici ed operatori, la somma delle diverse sinergie e professionalità sono elementi che non possono verificarsi quando una coppia si reca all’estero per adottare un bambino.
Le statistiche dicono che le percentuali di fallimento sono molto basse. Personalmente ho occasione di confrontarmi con situazioni di fallimento più frequentemente di quanto si possa pensare. Sono cause di limitazione di potestà che non rientrano nell’operato dell’ufficio adozioni e che vengono assegnate ai singoli giudici.
Io posso parlare per quello che vedo e in particolare per il mio ruolo civile (cause ex artt. 330.333.336 c.c.) che assomma circa 400 cause all’anno (sulle tremila globali). Una decina di casi nell’ultimo anno vi sono stati, nell’ambito delle cause che io istruisco.
Sono per lo più bambini adottati all’estero quando avevano 8/10 anni. In molti casi emergono problematiche di tipo mentale/caratteriale che esplodono dopo qualche anno. Nei miei casi i bambini hanno dovuto essere inseriti in comunità per richiesta degli stessi genitori, che non sanno più gestire la situazione. Il più delle volte accertiamo che il legame si è instaurato e quindi lavoriamo in questo senso per recuperare la relazione e smussare gli aspetti critici.
Sono casi complessi, per fortuna pochi rispetto alle moltissime adozioni che vanno bene. Pochi ma in ogni caso molti.
Penso che le riflessioni della mia collega di Roma facciano riferimento alle adozioni internazionali e la sua preoccupazione non può che essere condivisa da me. Basta fare un esempio: una delle situazioni più difficili è quella di gestire la adozione di un bambino che abbia subito un abuso sessuale. Pochi sono i soggetti in grado di fronteggiare positivamente questa situazione. Nel caso di bambino italiano in genere si hanno molte notizie sui pregressi trascorsi traumatici del minore e la coppia viene scelta sapendo quelli che sono i problemi e le capacità genitoriali. La coppia è coinvolta, responsabilizzata, viene messa al corrente di tutto.
Spesso ciò non è possibile nel caso di una adozione di un bambino straniero con la conseguenza che la coppia adottiva può trovarsi a dover gestire problematiche molto difficili, che spesso non emergono subito ma dopo uno, due anni, rispetto alle quali i genitori sono impreparati. Se si tratta di un bambino piccolo è più facile rimediare ed intervenire; con un bambino grandicello tutto diviene più complicato.
Con ciò spero dì avere chiarito le mie posizioni onde evitare equivoci e fraintendimenti.
Il presidente
Fulvio Villa

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