Affidi, business da un miliardo
di Paolo Crecchi
I pagamenti sono garantiti dai Comuni che a volte vorrebbero comportarsi diversamente e organizzare l’assistenza su altre basi, ma devono fare i conti con l’inflessibilità dei tribunali dei minori. Dietro alle case famiglia ci sono enti religiosi e privati, che spesso riescono a lucrare sulle rette non assicurando ai ragazzi il sostentamento e il sostegno pattuiti.
Il problema sono i controlli: lo stato li affida alle associazioni no profit, ma i muraglioni dei convitti si rivelano troppe volte barriere inaccessibili. «Dietro un affido - conferma l’assessore ai servizi sociali di Albenga, Eraldo Ciangherotti - ci sono posti di lavoro e un’economia robusta. Bisogna vigilare perché non vengano privati i genitori del diritto ad allevare i propri figli, magari dietro una segnalazione un po’ frettolosa».
Il caso di Khalid, per esempio. Qualcuno si è preso la briga di sostenere che era separato (falso), che non era affidabile (falso), che non andava a trovare i bambini in comunità (lui ha esibito il tabulato con gli orari delle visite, non ne ha mai saltata una).
Il business degli affidi è incrudelito dai tempi della giustizia italiana. Khalid: «Il giudice ha ordinato una consulenza tecnica, come se fossi in lite con mia moglie e non lo sono. Ma soprattutto devo aspettare altri quattro mesi: ma scherziamo? E perché? Chi mi restituirà il tempo perduto, trascorso senza i miei affetti»? Il giudice Cavatorta, di fronte a questi obiettivi, non sembra scosso: «La giustizia ha i suoi tempi». Appunto.
E siccome spesso le segnalazioni sono frutto di piccole vendette, cattiveria, disinformazione, troppi affidamenti si rivelano un’ingiustizia. La deputata Sbai Souad: «Abbiamo passato il livello di guardia. I tribunali dei minori hanno un potere spropositato, e spesso non seguono l’evolversi delle situazioni».
Nella denuncia alla procura della repubblica di roma, Sbai Souad ricorda che la figlia di Khalid è stata portata fuori dai confini nazionali, durante le prove dell’affidamento alla famiglia musulmana, senza il consenso del padre. Chi doveva vigilare? Attenzione: per legge, il minore ha il diritto inviolabile di crescere nel nucleo familiare, fino al terzo grado di parentela.
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