mercoledì 2 gennaio 2013

Il Kirghizistan all'ultimo blocca i contatti

Il caso

Carte fantasma e denunce
Intrigo internazionale divide genitori e 19 bimbi

Il Kirghizistan all'ultimo blocca i contatti. «L'airone» di Azzano: non molliamo

Questa è la storia di un viaggio che non risulta mai fatto, di pile di documenti svaniti dalla sera alla mattina, di ministri che finiscono in manette, di denunce in un'ex Repubblica sovietica, diplomazie al lavoro e scontri a colpi di carte bollate.

Ma questa, soprattutto, è la storia di mamme e papà adottivi che avevano finalmente conosciuto un bambino che era diventato il loro bambino. Era, verbo al tempo passato. Perché, su tutto, come un macigno è piombata una crisi internazionale fatta di problemi e accuse che viaggiano da una parte all'altra del pianeta.



I bimbi oggi restano in quell'angolo d'Asia che si chiama Kirghizistan, mentre i genitori stanno qui, in Italia. Annichiliti e in attesa. Diciotto famiglie da sei mesi nel limbo, con la speranza ridotta a un filo. «Ma non rinunciamo. No, non molliamo», dicono. E telefonano ogni giorno all'ente intermediario, che a sua volta ha deciso di dare battaglia affrontando le burocrazie e i tribunali internazionali. L'ente si chiama L'Airone, una delle sue sedi principali è ad Azzano San Paolo. Delle diciotto coppie - vivono in Liguria, Piemonte, nel Lazio, in Lombardia - dieci sono state seguite proprio ad Azzano, tre sono residenti nella Bergamasca. Tutte hanno conosciuto i «bambini assegnati» volando in Asia, hanno giocato con loro, hanno fatto preparativi.

E poi, tutto bloccato. Il Kirghizistan ha chiuso le porte tranciando ogni contatto. Le adozioni internazionali sono bloccate. «Una situazione difficilissima - dicono negli uffici de l'Airone -. Difficile come non ne avevamo mai incontrate, e lavoriamo da vent'anni, operando in 16 Paesi del mondo».
La onlus ha sette sedi in Italia ed è riconosciuta dallo Stato, dal 2000 ha portato a termine 1.490 adozioni, di cui la metà delle pratiche passate nella Bergamasca. Ad Azzano l'ufficio è aperto tutti i giorni, i referenti chiedono «per favore, non facciamo nomi. Noi lavoriamo in squadra». Il tavolo è ingombro delle lettere inviate sul «caso Kirghizistan» alla Commissione adozioni internazionali (Cai) dello Stato. Sui giornali la scorsa settimana due genitori di Roma hanno puntato il dito contro intermediari locali, facendo nomi e cognomi di persone «fuggite con i soldi». Le voci si avvitano, si parla di denunce. L'associazione precisa: «A nostro carico non c'è nulla. Siamo anche noi vittime. Gli intermediari non c'entrano, la situazione è molto più complessa. Per questo abbiamo denunciato il ministero per lo Sviluppo sociale e la procura generale kirghiza». Ed è qui che si spalanca uno scenario internazionale rovente.
Nel marzo 2012 l'associazione l'Airone è la prima, insieme a una onlus americana, a ottenere l'accredito per operare in Kirghizistan allacciando contatti per le adozioni. Il Paese - retto da un regime fino al 2005 - ha firmato la convenzione dell'Aja e vive condizioni di estrema povertà: su 6 milioni di abitanti, 22 mila orfani fra 0 e 17 anni. È a uno dei principali istituti della capitale, Bishkek, che l'Airone si appoggia, costruendo una rete di professionisti in loco. Le procedure («Il costo estero è 6.500 euro per pratiche e burocrazia») si avviano con il primo gruppo di genitori. «Tutto era in regola», sospira la referente di Azzano. Il volto tirato, confessa che «questa vicenda non ci dà pace. Ma stiamo tentando il tutto e per tutto». Anche perché quelle coppie, a Bishkek, hanno lasciato il cuore.

Ti dicono che il legame nasce al primo sguardo, già quando per posta arriva la fotografia che corona mesi, o anni, di incontri e pratiche burocratiche. La fotografia è quella del bambino assegnato, «e quando lo vedi - dice la referente de l'Airone -, lo fai già tuo». I genitori partono dall'Italia un po' alla volta, i primi a maggio. Volano in Kirghizistan, fanno colloqui, conoscono i piccoli (sono in tutto 19) che saranno a loro affidati, tutti fra zero e quattro anni. Il tribunale kirghizo ha 15 giorni poi per la sentenza definitiva di adozione. Il passo successivo è portare i bimbi in Italia. Non è mai avvenuto. Perché? Il nodo l'8 luglio: «Il ministro dello Sviluppo sociale Ravshan Sabirov - ricostruiscono i professionisti bergamaschi - viene arrestato con l'accusa di avere ricevuto denaro da una onlus (nel frattempo gli enti operanti sono diventati 10, fra cui tre italiani) per fornire l'accredito. Le accuse poi cadono, ma la crisi politica è più ampia. L'opposizione va all'attacco e chiede di fermare gli atti del governo, compresa l'uscita di ogni bambino. E tutto si blocca». Il 23 luglio la procura generale kirghiza ritira gli accrediti alle onlus. «Abbiamo un pool di avvocati a Bishkek, quando hanno citato i pronunciamenti del tribunale sull'adozione è stato detto che di quelle carte non c'è traccia. L'intermediario accusato di truffa è in realtà stato dichiarato morto». Un inferno che brucia sulla pelle dei genitori. L'associazione lo sa, rompe ogni indugio: «Abbiamo denunciato la procura e il ministero per il ritiro dell'accredito che riteniamo illegittimo, fatto un esposto a Bishkek contro ignoti per la sparizione dei documenti. Forse - dicono ad Azzano - ci giochiamo la possibilità di operare in questo Paese. Ma ora non conta. Vogliamo, insieme alla nostra ambasciata e alla Cai, portare qui quei bambini. Lo vogliamo con ogni forza».


(modifica il 26 dicembre 2012)

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